Una vera resistenza per difendere la Nazione: la vera storia dello sbarco in Sicilia
Fortunatamente, ormai da anni, sono emerse e stanno sempre più emergendo tante verità su tanti e diversi fatti e personaggi inerenti alla prima ed alla II Guerra Mondiale. Oggi, ricordiamo una pagina eroica della difesa della Sicilia contro l’invasione anglo-americane ed in particolare Lo sbarco di Gela e la battaglia che ne è derivata.
Infatti, contrariamente alla propaganda di guerra, che è ovvia in ogni conflitto da tutte le parti protagoniste, mano mano che passa il tempo, si vanno attenuando gli odi ed avviene il graduale cambio delle generazioni, vengono aperti archivi, arrivano muove testimonianze e documenti da diverse fonti, studi e Paesi, specie di quelli una volta contrapposti, anche le “verità” ufficiali si vanno via via attenuando, prima timidamente, eppoi sempre più chiaramente, perché la Storia, come sempre, prima o poi, riprende il suo corso presentando il conto a tutti per tutto…!
In questo senso, si deve intendere un evento che merita essere ricordato anche alle nuove generazioni: la “Battaglia di Gela!”.
Fortunatamente e finalmente, si parla di questo fatto storico, che, volutamente, troppi da più parti per ovvi motivi, hanno cercato di far dimenticare, così come per altre verità nascoste da decenni.
Tra gli altri, in questo caso, abbiamo scelto di riprendere, seppur in sintesi, quanto ha scritto, in modo molto chiaro, il 27 febbraio 2017, su “La Stampa” dal giornalista Andrea Cionci.
Per meglio capire quegli eventi, è importante, innanzitutto, ricordare, ciò che ormai è noto, che la mancanza di una generale resistenza all’ attacco nemico di allora, si spiega, principalmente, dalla precisa azione della concreta e preziosa collaborazione della mafia con i Servizi Segreti americani. Intanto, “La collaborazione con la mafia partì in grande stile: la valanga di informazioni fornite ai servizi segreti Usa da Lucky Luciano consentì agli americani non solo di smantellare la rete spionistica italiana nel porto di New York, ma anche di garantirvi una forzosa pace sindacale per non turbare l’invio di materiale bellico in Europa. I contatti di Haffenden con Luciano sono confermati dai microfilm pubblicati per un breve periodo sul sito del Freedom information act (Foia) che riporta i resoconti delle indagini della stessa Fbi su Haffenden”. In Sicilia, “Uno dei più efficaci provvedimenti mafiosi fu quello di minacciare pesantemente i militari siciliani di stanza nella loro regione. Venne “caldamente consigliata” la diserzione e il sabotaggio per evitare conseguenze spiacevoli per loro e le loro famiglie. Ecco perché due delle quattro divisioni mobili italiane di stanza in Sicilia si sfaldarono, in buona parte, all’arrivo degli anglo-americani. Michele Pantaleone scrive in “Mafia e droga” che il 70% dei soldati delle divisione “Assietta” e “Aosta” – quota corrispondente, appunto, a quella dei militari siciliani – il 21 luglio 1943, a sbarco avvenuto, “scomparve senza lasciare traccia pregiudicando, così, l’ intero apparato difensivo siciliano”. Questo si era verificato poiché, come spiega Giuseppe Carlo Marino “il boss mafioso Genco Russo e i suoi sgherri avevano fatto intendere che c’erano parecchi malintenzionati che li avrebbero fatti fuori prima dell’arrivo degli anglo-americani”.
L’eroismo dimenticato della “Livorno“ e della “Napoli”
“Al momento dello sbarco, il 10 luglio 1943, la divisione motorizzata “Livorno”, per ordine del comandante della 6° armata, il valido generale Alfredo Guizzoni (poi processato dalla Rsi, ma assolto) fu prontamente mandata all’attacco della testa di ponte americana, sulle spiagge di Gela.Era da sola: come riferisce il suo comandante, gen. Domenico Chirieleison, l’ appoggio della divisione corazzata tedesca “Hermann Goering” giunse, infatti, diverse ore dopo. Il comandante americano George Patton sottovalutò, inizialmente, la Livorno (convinto che le sue truppe avrebbero facilmente respinto quei “vigliacchi italiani”, come ebbe a definirli) ma, in capo a poche ore, l’impeto di quei soldati, pure, male armati, quasi privi di armi automatiche, senza copertura d’artiglieria e con pochi, obsoleti carri armati, riuscì a far arretrare gli statunitensi fino all’abitato di Gela e a travolgere le loro linee difensive. Furono momenti molto difficili per gli americani anche perché da Malta gli aerei inglesi non erano potuti decollare, in appoggio, a causa della nebbia”. La resistenza delle truppe italiane fu tale che: “A quanto riferisce il generale Alberto Santoni in una pubblicazione dello Stato Maggiore dell’Esercito, Patton fu colto dal timore e diramò ai suoi persino l’ordine di prepararsi a un possibile reimbarco. Per quanto la circostanza fu poi negata dall’interessato e dal Pentagono, il testo del radiomessaggio, intercettato dal comando italiano di Enna, “dovrebbe trovarsi – scrive Santoni – ancora negli archivi dell’Esercito”. Se è vero, come riportano varie fonti, che la Livorno stava per costringere gli americani alla ritirata nel settore di Gela, questo avrebbe potuto compromettere l’intera invasione. (Quanto alla terminologia, va osservato che gli stessi anglo-americani si consideravano degli “invasori” come si legge nella Soldier’s Guide of Sicily, distribuita alle loro truppe)”.
L’uragano di fuoco navale
“Le truppe da sbarco di Patton erano in crisi, così le navi anglo-americane ricevettero l’ordine di intervenire per salvare la situazione. Contro gli italo-tedeschi si scatenò, allora, un inferno di fuoco navale prodotto dai cannoni da 340 mm che “aravano” letteralmente sezioni di terreno procedendo di 100 metri alla volta disintegrando qualsiasi forma di vita vi si fosse trovata. Poi si aggiunsero le bombe degli aerei inglesi, che erano finalmente riusciti a partire da Malta. I difensori dovettero ritirarsi. In un caso, un reparto italiano fu costretto ad arrendersi perché gli americani utilizzavano prigionieri di guerra come scudi umani. Nella “Relazione cronologica degli avvenimenti” del XVIII Comando Brigata Costiera la 49a btr.si è arresa perché il nemico veniva avanti facendosi coprire dai nostri soldati presi prigionieri”. Fu una carneficina per i giovani della “Livorno”, come ricorda Pierluigi Villari ne “L’onore dimenticato”: resisteranno ad oltranza per 24 ore tra i ruderi di Castelluccio di Gela. Un soldato così annotava nel suo diario: “Eravamo stretti uno all’altro, immersi nella polvere; era un martellare implacabile di una quarantina di cannoni navali, di pezzi di artiglieria campale, i colpi ci piovevano vicinissimo tutt’attorno mentre schegge, pallottole, sassi fischiavano sulla nostra testa”.
In totale, la “divisione fantasma”, come recita il titolo di un saggio di Camillo Nanni, lasciò sul campo, tra morti, feriti e dispersi, 7.200 uomini dei suoi 11.400 effettivi. Anche nel settore inglese, più ad est, la divisione di fanteria “Napoli” insieme al Kampfgruppe “Schmalz”, combatté strenuamente fino all’annientamento. I pochi elementi superstiti si sacrificarono per permettere agli alleati tedeschi di ritirarsi sul fiume Simeto. Alle due divisioni “Livorno” e “Napoli” che, pure, avevano giurato fedeltà al Re e non al Duce, sono stati negati per decenni, in nome della politica, la memoria e l’onore che spettavano loro per aver difeso, fino all’estremo sacrificio, il proprio Paese”.
Il grande valore dei nostri soldati, pur consci della grande disparità di numero di uomini e mezzi di gran lunga a favore del nemico, pur capendo che la guerra per l’Italia andava ormai male, tennero ben alto l’onore loro e della nostra Patria, come, del resto, dimostrano le tante decorazioni e riconoscimenti per quella eroica e disperata e vera resistenza contro gli invasori: “630, infatti, le medaglie al valore – per gran parte postume – concesse ai militari del solo Regio esercito (escludendo Marina e Aeronautica) che difendevano la Sicilia.
Di essi si ricordano il caporalmaggiore Cesare Pellegrini, che impegnato in furiosi corpo a corpo, fu alla fine pugnalato nel fortino di Porta Marina; il sottotenente carrista Angelo Navari che col suo carro armato riuscì a impegnare una intera compagnia di soldati americani; il colonnello Mario Mona che resistette a oltranza di fronte alla spropositata preponderanza nemica per poi scomparire nella mischia; il sottotenente Luigi Scapuzzi che si sacrificò a Leonforte per permettere ai suoi colleghi e ai suoi uomini di poter ripiegare.
La stragi sconosciute dei prigionieri italiani
“Ai soldati che caddero prigionieri, non sempre capitò una sorte migliore dei loro commilitoni caduti. Sono, purtroppo, diverse le stragi compiute dagli americani ai danni di militari italiani arresi e civili inermi. A questi eccessi contribuì in modo determinante lo spirito particolarmente aggressivo infuso da Patton ai suoi uomini. Riportiamo uno dei suoi discorsi agli ufficiali precedenti lo sbarco: «Se si arrendono quando tu sei a due-trecento metri da loro, non badare alle mani alzate. Mira tra la terza e la quarta costola, poi spara. Si fottano, nessun prigioniero! È finito il momento di giocare, è ora di uccidere! Io voglio una divisione di killer, perché i killer sono immortali! »
Fatti come questi, anche nella II Guerra Mondiale, ne sono avvenuti tanti sui diversi fronti che sono stati purtroppo nascosti o rimossi per decenni, per vari motivi facilmente intuibili, ma che, al contrario di una certa retorica disfattista e luogo comune che vogliono gli Italiani pessimi combattenti od, addirittura svogliati e, peggio, tendenzialmente vigliacchi, è una falsa realtà. Fortunatamente, la Storia, col tempo, ristabilisce la verità su tutto e tutti, anzi, è, finalmente, venuto il momento di accentuare la riscoperta e rilettura di tanti eventi bellici che hanno visto protagonisti in positivo i nostri Soldati e ridare orgoglio ad un Popolo che ha pure dei difetti, ma che, comunque, come ogni famiglia, deve raccontare e risvegliare i tanti pregi della nostra Nazione, nel bene e nel male!
Storia & documenti. SICILIA OCCIDENTE – aprile 2019 – cartaceo
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